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Il parco delle Basiliche

Il parco delle Basiliche

Storia, leggenda, natura e arte si fondono in questo pur breve itinerario. Siamo al Carrobbio, dove la cerchia delle mura romane si apriva in una porta, e se guardiamo bene, dietro il basso edificio di un caffè si vede ancora una delle due torri che la rinforzavano. Nei pressi della porta varie vie s’incontravano, come oggi, formando un quadrivio o “quadrubium” come si diceva nel basso latino del tempo. Prendiamo corso Ticinese, e se vogliamo allontanarci dal traffico possiamo subito addentrarci nel parco e ammirare l’imponente e variegata mole della basilica di san Lorenzo, fondata in quel quarto secolo in cui Milano fu capitale dell’impero e poi più volte ristrutturata senza mai perdere il suo ruolo d’eccellenza tra le chiese milanesi, ruolo dovuto forse all’essere nata come “cappella palatina”, cioè cappella del palazzo imperiale ormai sparito. Nell’avvicinarci ci imbattiamo nella statua di san Lazzaro, leggendario protettore dei condannati a morte, e apprendiamo che in questo luogo così ridente nei secoli passati veniva eretto il patibolo per le streghe e i malfattori di basso rango.

Per entrare in San Lorenzo dobbiamo spingerci sul piazzale antistante la basilica, delimitato verso la strada dalle famose colonne che costituiscono il maggior monumento romano fuori terra presente in città. L’interno ci colpisce per la quasi totale assenza di pitture e ornamenti, che lascia apprezzare la solennità delle strutture, in gran parte risalenti alla fase cinquecentesca. Nel piccolo sacello di sant’Aquilino possiamo ammirare, purtroppo deteriorati, dei rari esemplari di mosaici paleocristiani.

Usciti, attraversiamo la porta medievale (ma abbondantemente ristrutturata) che si apriva sul fossato parallelo alle mura e alimentato dai Navigli. Ora quel fossato è sostituito da un trafficato anello viario, ma fino agli anni ’20 nel Novecento fu un attivo porto interno. Ci troviamo così di nuovo nel parco e tra le chiome degli alberi intravediamo il campanile dell’altra basilica che dà il nome al luogo, quella di sant’Eustorgio. Ad essa è legato il ricordo di tre, anzi cinque, personaggi: san Barnaba, san Pietro Martire e i Re Magi. Di Barnaba, compagno di san Paolo in molti suoi viaggi apostolici, si dice che si fosse accampato in questo luogo, allora lontano dalla città, per predicare un cristianesimo ancora clandestino e battezzare gli adepti in una fonte ora occultata da un edificio. In omaggio a questa tradizione, ogni nuovo vescovo di Milano inizia da qui la processione che lo porta in Duomo per il suo insediamento.

Quanto ai Re Magi, la loro tomba si ammira in una cappella laterale della basilica, sotto forma di un enorme sarcofago romano, quasi una capanna di marmo, probabilmente parte del cimitero su cui la chiesa sorge. Ma la leggenda dice che esso in origine si trovava in Terrasanta, dove fu scoperto da sant’Elena, la madre di Costantino, e successivamente fu portato nella nostra città dal vescovo Eustorgio, che lo caricò su un carro trainato da buoi. Giunto nel luogo, allora deserto, in cui oggi si trova la chiesa, il carro non poté più proseguire, secondo alcuni perché le ruote affondarono nel fango, secondo altri perché i buoi morirono per la fatica. Il santo comunque capì che quella era la meta destinata, e intorno all’ingombrante manufatto sorse la prima chiesa, poi più volte ristrutturata. Le reliquie furono subito oggetto di grande devozione, tanto che il Barbarossa, quando nel 1162 occupò e distrusse Milano, decise di sottrarle per sfregio alla città e le fece portare nel duomo di Colonia dove si trovano ancora, tranne alcuni frammenti ottenuti in restituzione dal card. Ferrari a inizio ‘900.

San Pietro Martire ci accoglie già sulla piazza antistante la basilica, alto su una colonna con quel coltellaccio piantato in testa che ci ricorda il suo martirio. Pietro da Verona era un frate domenicano investito del ruolo di inquisitore in un periodo (metà del secolo XIII) in cui la Lombardia era percorsa da forti movimenti ereticali. E fu proprio un “killer” assoldato dagli eretici a sorprenderlo durante il ritorno da una missione, facendone il primo martire dell’Ordine. La sua storia ci è narrata in ben due cicli d’immagini nella cappella Portinari, gioiello di architettura toscana collegato alla basilica. Un ciclo scultoreo decora l’arca sepolcrale del santo, e vi si riconosce la mano del senese Giovanni di Balduccio, che a metà ‘300 fu al servizio dei Visconti. L’altro ciclo è costituito dagli affreschi delle pareti, opera quattrocentesca di Vincenzo Foppa.

All’uscita dalla basilica, se non siamo ancora sfiniti, possiamo fare una visita all’attiguo museo diocesano, situato nell’antico chiostro conventuale. Se no, sederci sotto il verde della piazza o passeggiare sulle rive della Darsena, il bacino in cui si incontrano i Navigli.

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Adriano Bernareggi Scritto da Adriano Bernareggi

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